Il mio intervento sulla sanità iblea alla festa provinciale dell'unità
Io che da più di vent’anni, ormai, svolgo la mia professione di medico all’interno dell’azienda sanitaria iblea e ho vissuto le contraddizioni e le arretratezze dovute ad una gestione della sanità spesso asservita al potere, spartita e lottizzata; non sottacendo le punte di eccellenza raggiunte dalle professionalità presenti nella nostra realtà provinciale. Io posso ben dire che sulla Sanità in provincia di Ragusa si è giocata una partita particolarmente aspra, fatta di tagli lineari, ma anche di sprechi, magari solo per dimostrare, chi più e chi meno (politici e tecnici), di avere a cuore le sorti degli ospedali e dei servizi sanitari a Vittoria, a Scicli, a Comiso, a Modica, a Ragusa. Ricordo quando molti facevano finta di non sapere cosa avrebbero comportato i vari “piani di rientro” coi conseguenti tagli ai posti letto e per anni hanno continuato a sostenere che il problema della salute dei cittadini stava tutto nella difesa dei “campanili” fomentando comitati di difesa di ospedali indifendibili e pericolosi per la salute dei cittadini, e non in una migliore organizzazione dei servizi ospedalieri e territoriali, riducendo la Sanità, così facendo, a terreno di mischia demagogica e populistica, non riuscendo ad orientare il dibattito sui bisogni dei cittadini per i quali sarebbe di gran lunga necessario e opportuno avere presidi sanitari organizzati con guardie attive h24, con un piano strategico per l’emergenza, con reparti di rianimazione di eccellenza dove non si fanno turni massacranti, diversificando le realtà ospedaliere e territoriali, piuttosto che avere la rassicurazione, esclusivamente psicologica, di avere l’ospedale sotto casa. Questo ritengo sia l’obiettivo da raggiungere, sul quale spero e credo si stia lavorando, in quanto porterebbe ad avere presidi ospedalieri per le acuzie e le emergenze e presidi per la riabilitazione e la lungodegenza, completati da un Territorio, comprendente i medici di base e i servizi, che si occupi sempre più di prevenzione primaria e secondaria in modo da far diminuire i ricoveri negli ospedali qualche volta inutili e controproducenti. Il compito è arduo: da anni la sanità è stata sottratta alla dimensione politica, intesa come “polis” e consegnata alla tecnica aziendalista fintamente neutra, come ben sa chi come me opera al suo interno, ma ancor di più si oppongono altri interessi. All’offerta delle prestazioni sanitarie concorre non solo il pubblico, ma quel sistema misto pubblico – privato accreditato previsto dal servizio nazionale. L’imprenditoria sanitaria non è un’imprenditoria come un’altra: innanzitutto tratta un bene fondamentale, e in più ha un solo grande cliente, la Regione che rimborsa le prestazioni. E’ evidente che chi ha l’interesse a mantenere alti i margini delle entrate non potrà che alimentare bisogni presunti su un terreno fertile, cioè sulla più sensibile delle questioni umane, la paura delle malattie e della morte. Questo accade quando la salute diventa una merce, anziché un diritto e un bene collettivo. Perciò sono convinto che il SSN soffra di un problema di sostenibilità politica prima ancora che finanziaria: per questo occorre tornare alla centralità del suo carattere universalistico, incoraggiare la partecipazione delle organizzazioni sociali e delle professioni sanitarie, affermare la titolarità e la responsabilità pubblica in quel difficile compito di conciliazione tra diritto individuale e interesse collettivo: per mantenere equa e sostenibile la nostra sanità. Oggi la vera discontinuità creativa è la conservazione di questi principi e di questo modo di essere: la modernità che può tutelare la buona salute dobbiamo costruirla su queste basi se vogliamo guardare serenamente al futuro della sanità anche nella nostra provincia privilegiando il “pubblico” non il “campanile” o la salvaguardia di piccoli interessi di bottega o il “privato” ben presente anche nella nostra piccola realtà ragusana.
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