Il principio di realtà
Cara Lisa, car* amic* e compagn*
Ritengo che, oltre i dovuti e sentiti ringraziamenti a tutti voi, candidat* e non, per l’impegno profuso e per aver condotto una battaglia difficile e complessa, anche oggi in queste giornate convulse di campagna elettorale debba essere possibile avviare una discussione pacata sugli stessi risultati elettorali e su quali strade perseguire per risalire la china, per recuperare il consenso perduto e tornare a essere riferimento del nostro popolo. I risultati elettorali del 5 Giugno, che hanno visto penalizzare il PD a livello nazionale e locale, pongono a tutti noi un problema, che volendolo semplificare all’estremo, è quello di ridefinire il nostro ruolo e trovare il modo di svolgerlo adeguatamente nei tempi nuovi. Recuperando peso, capacità progettuale, ambiti, aree e strati sociali tradizionalmente vicini a noi. Tutto ciò, però, non può essere fatto fino in fondo se non si rivede il tema decisivo di una preponderante “visione leaderistica” all’interno del partito, a livello nazionale e a livello locale, che invece di unire il proprio schieramento lo divide, “o con me o contro di me”, cosa che inevitabilmente porta a non discutere, a non analizzare, ma di fatto a schierarsi. Con ciò non cogliendo i segnali che provengono dall’esterno e perdendo la capacità di adeguare le proprie strategie. Il leader comanda e di fronte ad aggregazioni variegate e precarie, in casa quasi sempre vince e quindi dura e quindi non si cambia. Naturalmente ogni vittoria interna costa qualcosa, si perde un pezzo, e soprattutto non segue mai la pace. Solo tregue, in attesa del prossimo scontro interno mentre il mondo, fuori cammina. E’ teoria, ma solo fino a un certo punto. Se è vero, com’è vero, che chiunque si voglia fare avanti per dare il proprio contributo deve affrontare il problema di spiegare a ogni piè sospinto che lui è lui e il leader è un’altra cosa, invece di ragionare con un po’ più di calma su idee e progetti senza essere ossessionati dagli schieramenti. Idee e progetti che devono misurarsi con la consapevolezza che la crisi della politica e del PD sta soprattutto nella rimozione dei fondamentali del riformismo (centralità e valore sociale del lavoro nelle sue molteplici forme, diritti individuali e collettivi, libertà delle persone all’interno di regole condivise). Perciò ritengo inevitabile che in questa fase il PD dovrà impegnarsi a predisporre, al più presto, le prossime iniziative politiche sui temi del lavoro, dei diritti di cittadinanza, del Mezzogiorno, non tralasciando le questioni che riguardano il “ modello di sviluppo”, perciò occorre ripensare l’intera politica economica: il sistema delle convenienze, il modello dei consumi, la politica degli investimenti, i programmi a lungo termine, gli indirizzi di politica agricola, industriale e terziaria. Non è vero che tutto questo è impossibile perché non corrisponde a scelte e decisioni di mercato. La “globalizzazione” è divenuta una ideologia del non intervento. Ma i mercati sono essi stessi largamente orientati dalle scelte compiute dai maggiori gruppi economici e dalle decisioni di spesa degli stati. E’ evidente che cambiare il “modello di sviluppo” chiede un’opera difficile, lunga nel tempo, complicata nelle realizzazioni. Ma essa deve cominciare a costituire argomento di proposta e di battaglia politica. Bisogna imparare da ciò che hanno fatto e fanno le organizzazioni di volontariato, per la cooperazione di ispirazione laica e religiosa, anche nella nostra realtà, e impegnarsi per dare valenza generale alla loro azione. Anche così può nascere una nuova politica. Infine, io credo che tutto ciò s’inquadri in una discussione aperta su ulteriori trasformazioni del nostro campo politico; la mia opinione è che tale discussione debba orientarsi verso l’approdo a una comunità di donne e di uomini, culturalmente e politicamente autonoma, consapevole della molteplicità dei conflitti, radicata nella complessità sociale e particolarmente nel mondo del lavoro in trasformazione. In grado di rimettere al centro del proprio progetto politico: la solidarietà, l’uguaglianza, il limite; che non abbia vergogna del proprio passato e che agisca coralmente nel processo costitutivo di una nuova democrazia diffusa in ogni ambito, compreso quello dell’economia e dell’impresa e dello sviluppo della partecipazione politica; che lotti per consentire ai cittadini una presa diretta con le sedi della decisione politica, la quale non deve esaurirsi nel momento elettorale o nella rappresentazione degli interessi più immediati e corporativi, ma deve sorreggere la ripresa di un circuito virtuoso tra la partecipazione e il cambiamento. Qui può stare la nostra identità e con ciò si può tornare al gusto della politica e cioè a quella nobile arte che consente la emancipazione di uomini e donne che vogliono contare e decidere loro del loro futuro senza dare deleghe in bianco a nessuno. Per fare ciò occorre un profondo rinnovamento politico e culturale centrato su una maggiore democrazia e una maggiore circolazione delle idee e delle informazioni al fine di ridare slancio alla nostra azione politica e ridare fiducia e speranza a tanta gente che stenta a farsi avanti, con la consapevolezza che non servono grandi leader, ma uomini in carne ed ossa coi propri limiti e i propri difetti, con le proprie passioni e con la propria dignità che sappiano elaborare un progetto concreto che dia senso al proprio impegno quotidiano e faccia guardare ad un futuro dove il PD svolga appieno il suo ruolo contribuendo in maniera determinante alla definizione di un nuovo spirito pubblico improntato alla solidarietà, al rispetto reciproco, alla ricerca di nuove vie per lo sviluppo economico, sociale e culturale della nostra realtà e del Paese in generale. La politica non può essere considerata alla stregua di un mestiere o una pura e semplice tecnica di gestione, perché ciò la inaridisce e la fa diventare auto-referenziale, e allora è per questo che noi pensiamo sia venuto il momento di cambiare; per favorire questa svolta, dopo la sbornia governativa. Solo così riusciremo a rilanciare il nostro Partito, cioè consolidando e riaffermando la nostra identità e non annacquandola al punto da renderla indefinibile e aleatoria, naturalmente eliminando ogni rigidità ed avendo quella duttilità e quella capacità di tenere la barra dritta sulle questioni di principio e, nello stesso tempo, di ricercare le possibili convergenze sulle cose da fare non perdendo il senso della realtà e della misura, anche in considerazione del fatto che stiamo discutendo non dei nostri destini personali, ma del percorso che ha fatto e deve continuare a fare il nostro territorio, la nostra gente, la provincia di Ragusa, la città di Vittoria.
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