Il punto di rottura e la perdità di futuro
La vicenda politica vittoriese con veleni annessi e connessi è la cartina di tornasole del periodo storico e del contesto in cui ci è stato dato vivere. Come magistralmente suggeriva il costituzionalista Zagrebelski in uno scritto di qualche tempo fa. - Questa è un’epoca in cui, manifestamente, le relazioni tra le persone si fanno incerte e il primo moto è di diffidenza, difesa, chiusura. - Alla politica che pur si disprezza, si chiede attenzione ai propri interessi, alla propria identità, alla propria sicurezza, alla propria privata libertà. L’ossessione per “il proprio” ha come corrispettivo, l’indifferenza e, dove occorre, l’ostilità per “l’altrui”. In termini morali, quest’atteggiamento implica una pretesa di plusvalenza. In termini politici, comporta la semplificazione dei problemi, che si guardano da un lato solo, il nostro. In termini istituzionali si traduce in privilegi e discriminazioni. Ma questa è anche un epoca di restrizione delle cerchie della socievolezza e ciò riguarda ogni ambito della vita di relazione , a mano a mano che procedono, creano nuove inimicizie in una spirale che distrugge l’interesse generale e i suoi postulati di legalità, imparzialità, disinteresse personale. La legge è uguale per tutti è sostituita dalla ricerca di immunità e impunità. Questo che denominiamo “familismo” crea cricche politiche e partitiche, economiche e finanziarie, culturali e accademiche, spesso intrecciate tra loro, dove si organizzano e si chiudono relazioni sociali e di potere protette, per trasmetterle da padri a figli e nipoti, da boss a boss, da amico ad amico e ad amico dell’amico, secondo la legge dell’affiliazione. Sul piano morale, quest’atteggiamento valorizza come virtù l’appartenenza e l’affidabilità, a scapito della libertà. Sul piano politico, si traduce in distruzione dello spirito pubblico e nella sostituzione degli interessi generali con accordi opachi tra “famiglie”. Con ultimatum e avvertimenti annessi e connessi. Della diffidenza e della chiusura, conseguenza naturale è la perdita di futuro, come bene collettivo. Si procede alla cieca e, non sapendosi dare una meta che meriti sacrifici, cresciamo in particolarismi e aggressività. In termini morali, la perdita di futuro contiene un’autorizzazione in bianco alla consumazione nell’immediato di tutte le possibilità, senza accantonamenti per l’avvenire. In termini politici, comporta una concezione dell’azione pubblica come sequenza di misure emergenziali. In termini istituzionali, distrugge ciò che, propriamente è politica e la sostituisce con una gestione d’affari a rendita immediata. A questo punto possiamo ben dire che le tre nevrosi da insicurezza – visione parziale delle cose; disgregazione degli ambiti di vita comune; assenza di futuro – hanno un unico significato: la corrosione del legame sociale. E allora il nostro compito è cercare di far breccia in convinzioni collettive, là dove domina indifferenza, sfiducia, rassegnazione: i sentimenti qualunquistici, naturalmente orientati a esiti autoritari. Se la crisi istituzionale è innanzitutto crisi di disfacimento sociale, è da qui che occorre ripartire, da politiche rivolte a promuovere solidarietà e sicurezza, legalità e trasparenza, istruzione e cultura, fiducia e progetto: in una parola, legame sociale.
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