La credenza che la realtà che ognuno vede sia l'unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni. (Paul Watzlawick)

E' certamente difficile intervenire sul dramma del ragazzo di sedici anni suicida a Lavagna, ma credo che sia giusto esprimere il proprio pensiero di fronte a cose che turbano giustamente l'intera opinione pubblica nazionale. Io ritengo che quanto accaduto vada inquadrato nell'ambito della genitorialità. Perciò sono fermamente convinto che ognuno deve svolgere il proprio compito e non può demandarlo ad altri soprattutto ad una istituzione repressiva che per definizione non ha "finalità pedagogica" o di sostegno, per cui nell'interfacciarsi con questo tipo di problematica occorre avere consapevolezza del proprio ruolo e non invadere quello degli altri nella fattispecie Ser.T (Servizio per la Tossicodipendenza), NPI (Neuropsichiatria infantile) e Servizi Minorili dove ci sono le professionalità adeguate a sostenere e a cercare di far evolvere in maniera equilibrata un'adolescente e il suo sistema familiare e relazionale in genere. Per prima cosa bisogna avere chiaro che non sempre si può essere genitori allo stesso modo, spesso è necessario assolvere impegni differenti e adottare modalità comunicative e interattive diverse secondo l’età dei figli. “Prendersi cura di” e quindi maturare il desiderio generativo è uno degli stadi della crescita umana. Esso non presuppone la nascita di un figlio reale ma è uno spazio mentale e soprattutto relazionale dentro il quale convergono la storia affettiva, il mondo degli affetti, i legami di attaccamento, il mondo fantasmatico, il narcisismo, il senso che ha l'esistenza, il sentirsi parte di una storia, la differenziazione sessuale, la capacità di vivere relazioni pluri-dinamiche, il rapporto con le regole e il sociale, la capacità di contenere e regolare gli stati emotivi, la capacità di cambiare e di essere cambiato, il sentirsi unico e irripetibile, autonomo ed indipendente e nello stesso tempo bisognoso di “essere pensato da qualcuno”. Però a questo punto, a maggior ragione nel caso di genitorialità adottiva, occorre mettere in primo piano la profondità per pensare le esperienze passate e future dei propri figli, perché se non c'è elaborazione né cognitiva né emotiva, non si può avviare il processo di "riparazione" delle ferite e nemmeno quello di proiezione nel futuro e di progettazione personale. Ecco allora l'importanza per noi operatori di salute mentale di facilitare la creazione dei legami familiari, magari, come sostiene la Gestalt, promuovendo il potenziale evolutivo che le "resistenze al contatto" contengono a partire dalla resistenza primordiale: la confluenza, che come sostiene Sergio Mazzei (Psicoterapeuta ad approccio gestaltico)spesso "significa che non si sa chi si è o che si sperimenta davvero e si risponde soltanto alle aspettative dell'ambiente. Quando sono confluente non ho gusti miei o meglio evito di averli, non ho preferenze, sono fuori contatto dalle mie emozioni, dai miei sentimenti, non mi faccio domande e sono scarsamente o per nulla consapevole di tutto ciò. La confluenza può essere più o meno grave. Nella sua forma più severa non vi è la minima capacità di differenziazione. Si è totalmente fuori contatto e si vive in uno stato di simbiosi, di fusione, originato dal rapporto con la madre, come se si avesse una specie di corpo con due teste (io e te siamo uno)». Naturalmente la cosa da considerare e potenziare è la caratteristica funzionalmente positiva della confluenza che ha a che fare con la capacità di percepire un "noi", di fare "gioco di squadra", di mettere in figura le necessità del gruppo (famiglia) e della relazione empatica, piuttosto che le proprie necessità individuali. Il nostro compito di tecnici della psiche è quello di favorire un atteggiamento confluente funzionale alla costruzione di legami. Preoccupandosi di atteggiamenti che marcano troppo profondamente le differenze individuali, che non trovano punti in comune o bisogni condivisi tra genitori e figli. Perché essi potrebbero rappresentare delle resistenze che lavorano contro la costruzione del legame e sottendono quindi qualche tipo di paura e difficoltà dell'individuo che le mette in atto, rispetto all'intimità richiesta dal rapporto con un figlio. Quando invece la confluenza non accenna a diminuire nel tempo, se i genitori non si svegliano dal torpore e non riacquistano prospettiva e capacità di pensiero autonome, è necessario approfondire il loro vissuto e spingerli invece verso una maggiore differenziazione, verso il riappropriarsi di una capacità adulta di relazionarsi con la propria vita e con i suoi oggetti. Probabilmente ciò che è avvenuto era "imponderabile", ma l'unica arma appropriata che le istituzioni possono avere a disposizione è quella, come dicevo, della consapevolezza del proprio ruolo e ambito d'azione che però deve essere necessariamente coniugata alla capacità di lavorare assieme in modo da poter dare risposte complesse ed appropriate a situazioni di per se complesse ed estremamente difficili.

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