La (mia) strada giusta.
Relazione al congresso provinciale SEL di Ragusa 30-11-2013.![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjSpqwwWudVcmiyJ1BpBLEjZlB8OAEdZCk2qVr_jqZ4NUVfDx8U15_Y_G2g1h3LcSpwfqovDugpSL97TRJ6trQdzFy2qk1clotgmBM9MOYtewwYI64pO8T7IIEiCoZG58CRlfTp4WRt-34s/s320/1465160_10201751703025751_156548550_n.jpg)
Care compagne e cari compagni,
i risvolti politici ed elettorali di questi mesi dimostrano quanto difficile sia stato ed è il percorso che abbiamo intrapreso per la costruzione di una sinistra unita e plurale nel nostro Paese.
Il panorama politico nazionale che ci vede stretti tra le “larghe intese” guidate da Letta e Alfano (ora diventate le “solite intese” trasformistiche e inciuciste di sempre, con la supervisione del rieletto Napolitano) e il “populismo” a cinque stelle guidato da Grillo e Casaleggio, ci dice anche che le battaglie ideali hanno bisogno delle gambe degli uomini per camminare, non si possono fare battaglie di soli simboli con dentro personale politico calato dall’alto, senza ancoraggio nel territorio.
La politica è una passione e il potere è uno strumento per risolvere le problematiche di un territorio, di una comunità e non per fare i propri interessi, di questo sono sempre stato convinto e forte sostenitore e per quanto mi riguarda ho cercato di contribuire con l’impegno di sempre all’affermazione di questi principi, sicuro come sono che non per forza occorrono cariche istituzionali o di partito per fare “Politica”. Forse l'esperienza siciliana (dal Cuffaro assessore regionale all'agricoltura con Capodicasa presidente regionale e poi presidente egli stesso al Lombardo eletto col centro destra e poi sostenuto dal centro sinistra con Cracolici e Lumia e a finire con Crocetta che imbarca di tutto e di più, a destra e a sinistra da Lino Leanza a Totò Cardinale a Ingroia e a Forgione, questi ultimi dopo essere stati sconfitti elettoralmente uno addirittura candidato a primo ministro e l’altro alla guida della nostra lista al senato, sono stati ben felici di accettare incarichi prestigiosi e ben remunerati dal presidente Crocetta, o ancora, per parlare di noi, di Fava nominato ed eletto in Lombardia o della Costantino in Piemonte) del vincere a tutti i costi, trasformandosi e adattandosi al sistema predominante e non lottando per cambiarlo, mi porta ad essere ancora più convinto della giustezza di combattere per un buon terreno di coltura (tessuto democratico si diceva una volta) e non per il leader di turno. Insomma care compagne e compagni, rimango un inguaribile utopista.
Pur tuttavia nonostante questo desolante contesto in cui ci siamo trovati e ci troviamo ad operare, i nostri concittadini possono stare tranquilli saremo comunque al loro fianco, metteremo a frutto il loro consenso in Provincia di Ragusa, non buttiamo la spugna, siamo dei combattenti perché crediamo nei valori dell’uomo, crediamo nella possibilità di un lavoro dignitoso per tutti e in una società dei diritti e non dei favori, il nostro compito è seminare e costruire un gruppo dirigente della Sinistra del futuro, di questo sentiamo la necessità fino a quando vivremo in questo mondo sbagliato fatto di sopraffazioni, di soprusi, di angherie, di umiliazioni, schiavi del bisogno e delle necessità primarie, fino a quando ci saranno persone schiacciate dal peso dell’indebitamento accumulatosi per mettere su le proprie aziende costringendole a svendere le terre e le case e prendere di nuovo la strada dell’emigrazione, fino a quando ci saranno persone costrette a nascondere le loro idee per sopravvivere o anche per fare carriera nei luoghi di lavoro, al comune o all’ospedale, al magazzino di trasformazione o a scuola, fino a quando ci saranno persone costrette a morire di lavoro.
Io credo che la riforma della politica passa anche attraverso una ridefinizione del ruolo della politica stessa: ad essa spetta il controllo e l’indirizzo non la gestione, altrimenti si rischia l’involuzione, bisogna che ognuno si assuma le proprie responsabilità e proprio per questo voglio dire ai nostri interlocutori naturali che è necessario avere più coraggio, uscire dai propri schemi e prendere atto che da soli non si va da nessuna parte, “l’autosufficienza” come “valore” ha portato ai disastri che conosciamo.
Proprio per questo noi continuiamo a ritenere che solo sul terreno “politico” della chiarezza e della responsabilità potremo trovare una possibile intesa per ricostruire un nuovo centro sinistra o meglio un ampio fronte democratico.
Naturalmente, credo che in questa sede non possiamo sottacere le nostre responsabilità e le nostre debolezze, non vedere che la scommessa portata avanti da tutti noi per un partito della sinistra italiana radicato nei territori e in grado di rappresentare gli interessi dei lavoratori e dei più deboli ha senza ombra di dubbio subito una formidabile battuta d’arresto. Come sempre per andare avanti credo che dobbiamo guardare ai sentimenti e alla passione di ognuno, ma soprattutto alla libertà di poter scegliere la propria strada e le proprie priorità, questo non significa tirarsi indietro, anzi, io intendo stare sul campo della battaglia politica, di una Politica, però, che abbia in mente un progetto di governo, che delinei un modello di società, un’idea che analizzi la crisi profonda della società e tutte le sue cause, si confronti con i problemi creati dal sistema mafioso – politico - clientelare e la crisi del neo liberismo, facendo un esame delle forze in campo e un inventario delle proposte programmatiche sulla base di una tavola dei valori. Insomma io continuo a pensare, nonostante i vari “tsunami” e i vari eventi spettacolari che si succedono di questi tempi, che occorre ripartire dai valori della Sinistra che vedono nel territorio il luogo esclusivo della pratica politica in senso ampio e non il luogo su cui calare le proposte. Nell’area Iblea come nel resto del Paese bisogna rimettere al centro i temi del lavoro e dello sviluppo economico. In generale, il “Mezzogiorno d’Italia”, oggi più che mai, ha bisogno di una Sinistra vera e nuova che diventi punto di riferimento, nel territorio, della società perché in grado di dare risposte credibili alla crisi economica, ai giovani, a chi perde il lavoro e sappia contrastare la capacità economica di una mafia che punta a controllare il territorio. Politicamente questo mi ha posto in una posizione diversa con chi ha governato finora, perché ho ritenuto poco utile collaborare alla gestione del sistema, ma invece ho cercato di incalzarlo criticamente proponendo alternative. Infine compagne e compagni una riflessione sulla competizione elettorale nazionale affrontata dal nostro partito, per non parlare dei disastri che abbiamo subito alle regionali e alle amministrative del 2012 e del 2013, partendo dalle nostre primarie farsa, anche se "per qualcuno sarebbe andata tutto sommato abbastanza bene …" io penso che è andata male, che sia stata la vittoria dei "ragionieri", si sa la matematica non è un'opinione e il centro sinistra, il PD e ancora di più SEL, hanno di fatto convalidato l’ipotesi dell’antipolitica facendo scelte tutte tese a salvaguardare l’apparato, la cosiddetta “casta”, giudicando più importante non il progetto e il risultato politico complessivo ma la salvezza personale. In pratica la politica è diventata ancora più "autoreferenziale" facendola scadere da servizio e passione civile a professionismo cinico rischiando di perdere di vista gli interessi generali e i cittadini elettori si sono accorti di questo e ci hanno punito.
Voglio ricordare a questo punto quanto scriveva in una nota, dal titolo emblematico “La politica frantumata” pubblicata il 24/10/2008, Fabio Mussi: “Se il problema è far sopravvivere qualche sezione del ceto politico, è meglio uscire tutti di scena e togliere l’inutile ingombro. Se il problema è un altro, e cioè restituire peso ad un’altra idea di società, produrre idee oltre che subirne, incidere sugli equilibri politici, allora vale la pena di provarci ancora. …Ci vuole un partito politico, e un partito dai tratti innovativi, alla sinistra del PD.”
Allora occorre costruire dalle fondamenta la casa comune del popolo della sinistra rivolgendosi alla sinistra diffusa, fatta di associazioni e di volontariato, alle categorie produttive che pensano al lavoro come impresa sociale e non come sfruttamento, a chi in questi anni si è battuto contro la mafia a viso aperto pagando il prezzo dell’isolamento se non dell’irrisione, a chi vuole partecipare, a chi ci sta.
Certo, non possiamo nascondere le difficoltà organizzative ed economiche legate, anche, alla nostra incapacità di esplorare vie nuove, di inventare nuovi linguaggi, di accettare i cambiamenti, ma soprattutto, di essere dirigenti politici credibili e disinteressati che si mettono al servizio dell’idea e non viceversa. Nuovi linguaggi e nuovi modi di essere vuol dire essere più aderenti allo spirito pubblico delle nostre comunità, vuol dire aggiornare radicalmente la nostra analisi, calarsi nella realtà concreta, smettere il lamento e sbracciarsi indicando nuove direzioni di marcia. Spesso abbiamo oscillato tra una sociologia dell’integrazione e dell’inclusione a parole, magari girando il capo dall’altra parte quando ci siamo trovati davanti a interi nuclei familiari costretti a fare le valigie in cerca di fortuna perché la crisi economica dell’agricoltura dalle mie parti, a Vittoria, non consente redditi decenti, ma appunto costringe a scappare da creditori e da usurai, e una presunzione a volte arrogante di essere gli unici depositari della verità. Addirittura talvolta non abbiamo colto appieno la gravità della situazione economica, sociale e culturale del nostro territorio, per esempio, oggi, come possiamo considerare l’agricoltura se non un vero e proprio gioco d’azzardo e per di più un gioco senza regole, tutti gli operatori del settore devono districarsi tra migliaia di norme, regolamenti comunitari, leggi e leggine nazionali e regionali che dovrebbero garantire trasparenza nei prezzi all’ingrosso e al dettaglio delle cose necessarie a fare un impianto serricolo, dal film plastico, agli anticrittogamici, dalla ricerca dell’acqua per uso irriguo al riscaldamento, dall’acquisto delle sementi a quello delle piantine in vaso, o, ancora, il rispetto dei contratti di lavoro o di compartecipazione, e, poi, la sicurezza alimentare, il funzionamento del mercato ortofrutticolo, la formazione del prezzo del prodotto agricolo, il ruolo dei commissionari, dei commercianti, dei confezionatori, degli autotrasportatori e via dicendo, eppure, tutti lamentano la mancanza di un sistema di controlli che faccia rispettare le regole.
E’ veramente incredibile se si pensa che in Italia, per ogni contadino lavora un burocrate, si spendono ben 61 miliardi di Euro l’anno per mantenere un esercito di un milione e duecentomila impiegati pubblici disseminati fra Stato, Regioni, Asl, ed enti di tutti i tipi che si occupano di agricoltura a fronte di un milione e cinquecentomila addetti, mettendo nel conto sia i coltivatori diretti sia gli imprenditori del settore.
Ma allora dove sta l’inghippo?, praticamente, come dicevamo,ogni contadino potrebbe avere un “segretario personale” a disposizione pagato da enti pubblici per indirizzarlo, guidarlo nelle scelte e nelle strategie da utilizzare per avere un reddito decente e la possibilità di reinvestire gli utili del proprio lavoro nella propria azienda.
Tutto ciò comporta un allontanamento del cittadino dalle istituzioni e, spesso, una illegalità diffusa che è quella che si vede a vista d’occhio nel nostro territorio, come abbiamo più volte denunciato.
Ora è chiaro che ci sono responsabilità politiche dei governi, che spesso hanno puntato su carrozzoni clientelari piuttosto che su una delegificazione e su strumenti snelli per i sistemi di controllo ad ogni livello, ma c’è anche una responsabilità delle associazioni di categoria che si sono trasformati in patronati e paradossalmente hanno aggiunto altri “burocrati” a quelli pubblici ,invece di creare strategie innovative e mentalità nuove e coerenti con uno sviluppo complessivo dell’agricoltura.
Vivi e lascia vivere, tutto viene lasciato al caso, i prezzi oscillano vorticosamente, insomma continua il “gioco d’azzardo”, o la roulette russa che prima o poi farà esplodere le contraddizioni.
Bisognerebbe mettere mano ad una riforma complessiva di tutto il sistema e soprattutto rendere produttivi mettendoli nelle condizioni di lavorare e di dare il meglio di sé tutti quegli impiegati pubblici che si occupano di agricoltura.
Occorrerebbe che il potere politico riconquistasse il suo primato governando i processi e non facendosi tirare per la giacca dai poteri economici e corporativi che nella confusione mirano solo a garantirsi il massimo profitto, per fare questo è necessario un cambiamento delle classi dirigenti che tarda a venire.
Allora per prima cosa, per quanto ci riguarda occorre un bagno di umiltà, merce rara di questi tempi, che consenta di rimettere il nostro movimento in ascolto e quindi in grado di percepire cosa si muove nel profondo della nostra comunità.
Quali sono i sentimenti e le ragioni, le paure e le angosce dei nostri concittadini, ma anche cosa li rende felici e soddisfatti.
Credo che lo spirito pubblico che si è affermato in questi anni è quello della ricerca del successo a tutti i costi in ogni settore ( economico, sociale, politico) a prescindere e mettendo da parte la libertà degli altri e la responsabilità propria.
Noi, talvolta, siamo stati visti come predicatori d’altri tempi con in più la palese contraddizione di non vivere sulla nostra pelle le lancinanti ferite dei bisogni quotidiani e delle necessità immediate di larga parte del nostro popolo che ha vissuto le nostre prediche come un bisogno nostro di metterci a posto con la coscienza. Si, perché anche noi siamo immersi in questa realtà di soprusi, di illegalità diffusa, di ribellismo e sovversivismo, anche noi cerchiamo di dare il meno possibile alla comunità cercando di prendere il massimo, anche noi abbiamo tante volte rischiato di smarrire il senso delle istituzioni e la cultura di governo.
E’ a questo punto che si perde la credibilità, le persone perdono la fiducia nei tuoi confronti perché non vedono differenze sostanziali con gli altri che per lo meno si mostrano per quello che sono: arrivisti, affaristi, spregiudicati, egoisti. Quindi preferiscono la copia originale alla fotocopia, e in massa scelgono Berlusconi e i tanti berluschini sparsi sul territorio nazionale oppure si rifugiano nel populismo e nell’antipolitica inconcludente e parolaia di Grillo e dei Grillini.
La domanda è come facciamo a uscire da questa strettoia? Io credo che la risposta la debbano ricercare e dare i giovani, i nuovi dirigenti che devono finalmente assumersi le responsabilità di governo della complessità. I giovani, questo pianeta studiato solo esclusivamente a fini di mercato e di possibile profitto, che sono poco presenti nelle nostre assemblee e nelle nostre interminabili riunioni, che preferiscono il qui e ora, il tutto e subito, che non intendono aspettare, progettare, costruire, perché non hanno “tempo” da perdere. Noi abbiamo dato e continueremo a dare sostegno e disponibilità a chi ce lo chiede, non ci tireremo indietro. Solo così riusciremo a difendere i lavoratori, ad ampliare i diritti civili, a tutelare l’ambiente, a pensare ad uno stato laico a garanzia delle libertà di tutti, anche delle religioni, a tradurre gli ideali di giustizia e uguaglianza nella pratica e nell’impegno quotidiano a favore dei più deboli, dei meno garantiti, di chi non ha voce ed è costretto a stare ai margini della società.
Per questo a suo tempo ho accettato di svolgere questo ruolo di coordinatore provinciale prima di SD e poi di SEL e per questo ringrazio tutte le compagne e i compagni che hanno riposto in me la loro fiducia, non è stato facile in questo momento storico e in un contesto che per troppi anni è stato dominato da ambiguità, trasversalismo, sotterfugi e furbizie, tenere alta la bandiera della coerenza, della lealtà, della tolleranza, del senso del limite. Ed è per questo che oggi nella prospettiva di un rinnovamento concreto abbiamo il dovere di individuare una personalità nuova e giovane che, magari rischiando, possa assumere il ruolo di coordinatore provinciale del nostro partito per cambiare registro, so che ci sono resistenze, so che spesso è più facile essere rassicurati da chi già ha fatto un percorso ed ha un’esperienza politica alle spalle, ma io credo che così facendo non ne usciamo, secondo me abbiamo il dovere di rompere le incrostazioni e le cristallizzazioni e buttare il cuore oltre la siepe, questo è un punto dirimente per uscire in avanti e puntare su nuovi traguardi e prospettive.
Il nostra compito è stato quello di provarci, di mettere a frutto la passione politica che ha storicamente contraddistinto la nostra azione in questi anni difficili e per molti versi oscuri che hanno portato grandi trasformazioni, dalla rivoluzione informatica e al conseguente analfabetismo di ritorno, grandi tensioni sociali, non raccolte dalla politica e che anzi sono diventati “antipolitica” proprio perché la politica ha preferito difendere gli interessi esclusivi della “casta” e non navigare in mare aperto. È umano che ci siano ambizioni personali, che si voglia dimostrare le proprie capacità in campo politico o amministrativo, ma è stato ed è devastante che questo sia avvenuto e avvenga sulle spalle di chi davvero aveva ed ha voglia di cimentarsi nella lotta politica per ricostruire una presenza di sinistra nel paese; di chi ha scelto di lasciare percorsi politici, anche molto lunghi, perché ormai viziati da lotte finalizzate solo alla conservazione di piccoli o grandi luoghi di potere; di chi si illude che sia ancora possibile immaginare i Partiti come luogo di elaborazione politica, come strumenti di partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica. Forse il nostro problema è stata la debolezza e l’inadeguatezza della leadership nazionale relativamente ai difficili compiti assunti a partire, per quanto riguardava noi di Sinistra Democratica, dal 5 maggio 2007. Data della prima assemblea nazionale a Roma dopo l’ultimo congresso dei DS di Firenze. La sensazione è che tutto il gruppo dirigente nazionale ex DS abbia abbandonato ognuno al proprio destino, qualcuno perché ha ritenuto conclusa la propria esperienza politica mettendosi al servizio generosamente del progetto e affidandosi a Vendola e alla struttura politico burocratica ex rifondazione e qualcuno per opportunismo personale.
Insomma, io credo che oggi dobbiamo dire, con onestà intellettuale, che è certamente difficile sfuggire alla sensazione di confusione e sconcerto suscitata dal nostro stesso dibattito congressuale che si sta svolgendo “senza infamia e senza lode”, a parte il generoso tentativo della compagna Fulvia Bandoli che ha preparato degli emendamenti al “documento unico”, emendamenti che qui a Ragusa saranno presentati e spero approvati, e che hanno come oggetto le possibilità di conclusione positiva degli sforzi per costruire il nuovo Partito politico della Sinistra. La situazione di incertezza e di imbarazzo nella quale ci troviamo, esigerebbe una analisi attenta che metta in luce che la strada compiuta finora ha dato esiti velleitari e inconcludenti. Senza farne la cronistoria, nella lunga sequenza di “stop and go” che ha caratterizzato il nostro percorso politico che comunque chiama in causa le responsabilità del gruppo dirigente, le sue decisioni strategiche e la relativa determinazione, emergono alcuni elementi del lessico politico che meritano le osservazioni su esposte.
Io penso che serve puntare al cambiamento attraverso l'azione riformatrice mettendo anche in discussione la nostra stessa tradizione delle riforme che scendono dall'alto verso una cittadinanza atomizzata, grata (non sempre) ma passiva. Per contrasto, comincerei a parlare e a proporre le cosiddette 'rolling reforms', cioè le riforme che, strada facendo, portano la gente a interessarsi della politica, ad auto-organizzarsi, a prendere una parte attiva e continuativa nel processo riformatore.
Al riguardo possiamo fare un esempio storico: i decreti del 1944 del ministro comunista dell'agricoltura Fausto Gullo, riguardanti la riforma agraria del Mezzogiorno. Uno dei decreti-chiave permetteva ai contadini di occupare terreni incolti o mal coltivati solo se si organizzavano in cooperative di produzione: 'la nuova legge, imponendo ai contadini di organizzarsi in cooperative e comitati per poter usufruire dei benefici previsti, costituì il più robusto incentivo a una loro azione collettiva'. Invece, spesso nella nostra tradizione (Giolitti, Lombardi, Togliatti, ecc.) delle riforme di struttura si è evidenziata la mancanza di riferimento concettuale a una cittadinanza attiva. L'individuo è diventato il recipiente non il protagonista dell'azione politica.
E allora valutiamo le possibilità delle 'rolling reforms' nell'azione sull'ambiente: la raccolta differenziata e il risparmio energetico, e nella sfera della partecipazione: assessori alla partecipazione che investono in sperimentazioni di auto-organizzazione davvero collettivi e continuativi.
Allora si che viene avanti la necessità di misurare in rapporto alla natura delle riforme le eventuali alleanze.
Oggi devono aprirsi necessariamente prospettive nuove, occorre ritrovare la volontà da parte di tutti noi, uomini e donne della Sinistra per mettere in piedi un processo di cambiamento reale che metta in primo piano l’interesse generale e quindi dia spazio a chi intende dare un contributo disinteressato alla costruzione di un futuro dove tutti abbiano le stesse opportunità, dove non ci sia la legge della giungla e del far west e avanzi lo sviluppo e la legalità.
Concludo, Compagne e Compagni, dicendo che io mi fermo qui, non intendo continuare un percorso che in questi anni mi ha visto impegnato oltremodo e fuori misura a livello provinciale e regionale e nazionale. Preferisco in questa fase svolgere a pieno il mio ruolo istituzionale di consigliere comunale della mia città, eletto non nominato, ruolo datomi dal consenso dei miei concittadini ai quali devo dare conto.
Questa per me è la Strada Giusta!!!!!
Grazie, compagne e compagni, buon lavoro e buona fortuna.
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