Sul mercato del lavoro e il precariato

I giovani non possono essere portati dalle istituzioni democratiche ad accettare la flessibilità e la mobilità come frutto della modernità, ma semmai, devono essere informati sui loro diritti spesso calpestati, non possiamo dire loro che devono considerare l’idea assurda di essere disponibili ad andare a lavorare fuori sede come una possibilità di crescita perché questo mistifica la realtà che è fatta di nuova migrazione. La mobilità non è un valore, anzi comporta un impoverimento dei diritti dei lavoratori e una instabilità sociale foriera di malesseri e incomprensioni che sfociano in un mondo del lavoro cannibalizzato dai più forti e in mano a gruppi spregiudicati che puntano esclusivamente al massimo vantaggio per le loro tasche. Allora, la  strada da percorrere è quella di risolvere il problema dei contratti a termine  (riducendone la durata e ribadendone le causali vincolanti), sostenere tutti quei provvedimenti che possono aprire la strada al superamento delle forme di lavoro fittiziamente “autonome” come  le partite iva fasulle per i contratti d’opera, ridefinire la durata legale massima giornaliera dell’orario di lavoro, combattere con provvedimenti ad hoc la discriminazione salariale delle donne, ridare ai salari-stipendi quello che loro è stato tolto negli ultimi 20 anni, creare le condizioni per uno sviluppo economico coniugato con la legalità, che significa anche lotta senza quartiere al lavoro nero. Dobbiamo sapere che in un sistema economico come il nostro la disoccupazione non è un fatto naturale: è il prodotto sia delle decisioni dell’insieme dei soggetti che investono capitali sia del fatto che le conseguenze del cambiamento tecnologico non sono distribuite in maniera uguale; la disoccupazione e  l’insicurezza nel lavoro e del lavoro alterano in maniera strutturale il rapporto con la stessa democrazia politica: la disoccupazione perché alimenta, assieme ad altri fattori, il voto di scambio e la degenerazione clientelare (due questioni che si affacceranno prepotentemente in questa tornata elettorale amministrativa,lo abbiamo già visto alle primarie di Palermo, e che riguarderanno soprattutto chi ricopre ruoli istituzionali, sindaci e deputati, tali da consentire risposte o fare promesse), l’insicurezza perché  appare variabile dipendente dal modello basato sul primato del profitto. Da questo consegue che condizione della “democrazia politica” è una qualche forma di reale “democrazia economica”. Per darsi la quale tre condizioni sono necessarie: piena occupazione, una distribuzione meno disegualitaria possibile del reddito da lavoro, l’offerta da parte dello Stato nelle sue varie articolazioni di quei beni e servizi che il mercato non offre.   Bisogna rimboccarsi le maniche e passare ai fatti: arrivare a modificare l’intero sistema occupazionale, nel triplice canale ” assunzioni – disoccupazione – rilancio economico”. Tre battaglie che si vincono con diritti, sussidi e incentivazione all’innovazione tecnologica, non con ipocrisie di comodo per la flessibilità e il precariato.

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